7 Maggio 2019

Comodato atipico: alcuni chiarimenti della Corte

di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 9 aprile 2019, n. 9676 – Pres. Armano – Rel. Dell’Utri

[1] Obbligazioni e contratti – Comodato – Termine – Giudizio di meritevolezza – Comodato atipico – Comodato senza determinazione di durata – Godimento del bene – Qualificazione – Recesso ad nutum

(Cod. civ. artt. 1322, 1803, 1809, 1810; C.p.c. art. 360 n. 3).

[1] “In tema di comodato, nel caso in cui le parti abbiano vincolato l’efficacia del rapporto al venir meno dell’utilizzazione del bene concesso in godimento secondo gli accordi convenuti (ovvero al venir meno degli scopi statutari dell’ente comodatario), la circostanza che i termini dell’accordo non consentano di individuarne un’ipotesi di comodato con determinazione di durata, ai sensi dell’art. 1809 c.c., non comporta automaticamente la qualificazione del rapporto alla stregua di un contratto di comodato senza determinazione di durata con potere di recesso ad nutum del comodante, ai sensi dell’art. 1810 c.c., spettando al giudice di merito il compito di verificare se l’assetto di interessi individuato dalle parti non sia riconducibile a un accordo negoziale di natura atipica, meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c., avente a oggetto la regolazione del potere del comodante di pretendere la restituzione del bene concesso in godimento, attraverso la sua sottrazione alla regola dell’esercizio discrezionale (ad nutum), in modo che lo stesso comodante sia autorizzato ad esercitarlo unicamente al ricorrere delle condizioni convenute dalle parti; ricorso, la cui dimostrazione incombe, in caso di contestazione, sul comodante.”

CASO

[1] Con sentenza resa in data 6.2.2015, la Corte d’appello di Salerno ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta da una Provincia Religiosa, aveva accertato l’intervenuta cessazione di efficacia del contratto di comodato stipulato dalla suddetta Provincia con una Fondazione, e conseguentemente condannato quest’ultima al rilascio del complesso immobiliare concesso in godimento.

A fondamento della decisione assunta, la Corte territoriale ha evidenziato come, attraverso il contratto dedotto in giudizio, le parti avessero dato vita ad un rapporto di comodato precario, attesa la mancata apposizione di un termine di durata del rapporto negoziale, nella specie neppure rinvenibile, per implicito, dal richiamo operato dalle parti all’uso cui l’immobile concesso in comodato era stato destinato.

Avverso la sentenza d’appello, la Fondazione propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione.

SOLUZIONE

[1] Per quanto di interesse con il primo motivo di ricorso la Fondazione censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1803 e 1809 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la Corte territoriale erroneamente affermato che le parti, attraverso il contratto dalle stesse concluso, avessero inteso instaurare un rapporto di comodato precario atteso che il termine di durata del rapporto doveva ritenersi agevolmente desumibile dal riferimento operato con una clausola del contratto alle finalità culturali stabilite per l’uso dell’immobile concesso in godimento. Tale uso era di per sé sufficiente a rendere determinabile il tempo della suddetta concessione così come confermato dalle restanti pattuizioni che erano inclini a dotare la convenzione di elementi di atipicità tali da escludere l’applicazione delle norme dettate dall’art. 1810 c.c. in materia di comodato senza determinazione di termine.

La Corte di Cassazione, ritenendo il primo motivo di ricorso fondato e suscettibile di assorbire le restanti censure, ha cassato la sentenza impugnata e rinviato per la decisione alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, la quale dovrà decidere uniformandosi al principio di diritto enunciato in epigrafe.

QUESTIONI

[1] Attraverso la sentenza in commento la Suprema Corte, rifacendosi al consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, fornisce alcuni chiarimenti sulla disciplina del comodato (in dottrina v. LUMINOSO, Voce ”Comodato” in Enc. Giur. Treccani; FRAGALI, Del comodato, in Comm. C.C. Scialoja-Branca, artt. 1754-1812, Bologna-Roma, 1966; NATOLI, I contratti reali. Appunti delle lezioni, Milano, 1975; TAMBURRINO, Comodato (dir. civ.), in Enc. Dir., VII, Milano, 1960, 994 e ss; GIAMPICCOLO, Comodato e mutuo, in Tratt. Grosso e Santoro Passarelli, V, 7, Milano, 1972; TERRUGGIA, Il comodato nella giurisprudenza, Milano, 2000; MORA, Il comodato modale, Milano, 2001; N. CIPRIANI, Il comodato, Napoli, 2005; A. DE MAURO E FORTINGUERRA, Il comodato, Padova, 2007).

La disciplina positiva del comodato, sulla falsariga del codice civile del 1942, prevede due distinte figure di comodato: il comodato con prefissione di un termine ed il comodato senza determinazione di durata.

Se il comodato è del primo tipo l’art. 1803 c.c. (sulla scia del prestito ad uso riconosciuto dall’art. 1805 c.c. 1865) stabilisce che la consegna della cosa avvenga per un tempo o per un uso determinato di modo che il comodatario sia obbligato alla sua restituzione alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza, quando se ne è servito in conformità del contratto (e ciò, sempreché, non sopravvenga un urgente ed imprevisto bisogno del comodante che, in tal caso, può esigerne la restituzione immediata ex art. 1809).

Se, invece, il comodato è senza determinazione di durata, ex art. 1810 c.c., in base al principio secondo il quale se non è stato convenuto un termine nè questo risulta dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede.

Da questo assetto normativo, secondo la Corte, parte della dottrina ha desunto che la predeterminazione della durata, con il connesso potere di restituzione – a differenza della realità, dell’unilateralità e della gratuità – non sarebbe un elemento essenziale del comodato giacché, per effetto di quanto previsto dall’art. 1810 c.c., il legislatore si è dato cura di ricomprendere nello schema del comodato tipico anche la fattispecie caratterizzata dalla mancata determinazione di una durata. Tuttavia, come osservano i Giudici, tali conclusioni comportano il rischio di un pericoloso scivolamento verso la categoria degli atti atipici di liberalità che, invece, per esigenze sistematiche deve essere evitato.

Nel modello tipico di contratto di comodato del nostro codice il termine, infatti, è elemento essenziale e, d’altronde, una diversa conclusione contrasterebbe, da un lato, con il principio che prevede il libero recesso nei contratti senza previsione di termine e, dall’altro, con la gratuità tipica del comodato in quanto la durata illimitata si tradurrebbe in un sacrificio illimitato per il comodante (in tal senso aveva già statuito Cass. civ. sez. III, 13 novembre 1989, n. 4790).

Il termine, come spiegano gli ermellini, può anche essere lunghissimo, come spesso accade nei comodati riguardanti beni destinati ad abitazioni familiari (cfr. Cass. civ. sez. I, 24 novembre 2015, n. 23978; Cass. civ, sez. III, 14 febbraio 2012, n. 2103, in Giur. It., 2012, 11, 2258; Cass. civ, sez. III, 21 giugno 2011, n. 13592; Cass. civ., sez. II, 13 febbraio 2006, n. 3072; Cass. civ. SS.UU., 21 luglio 2004, n. 13603 con nota di SCARANO, L’osservatorio delle Corti Superiori, in Fam. Pers. Succ., 2005, 2, 180) e può anche desumersi dall’uso cui la cosa è destinata, tuttavia occorre che sia correlato ad un evento certo nel suo futuro verificarsi, un evento cioè che, per quanto possa essere incertus quando non può essere in ogni caso incertus an.

Ne consegue, come afferma la Corte, che «non sia ammissibile un comodato senza termine» e qualora l’uso cui la cosa è destinata non consenta di individuare una durata predeterminata allora il comodato va qualificato a tempo indeterminato, dunque precario, ed il comodante può, in applicazione dell’art. 1810 c.c., recedere ad nutum (tale principio è stato affermato da Cass. SS.UU. civ. 9 febbraio 2011, n. 3168 con nota di BRUNI, L’indeterminatezza temporale che rende il comodato un “precario”, in Obbl. e Contr., 2011, 7, 516).

La Terza sezione, tuttavia, rileva che in alcuni recenti arresti (v. Cass. civ. sez. III, 6 aprile 2018, n. 8571; Cass., sez. III, 12 marzo 2008, n. 6678 con nota di FERORELLI, Sulla durata del rapporto di godimento derivante da un contratto di comodato. Comodato «vita natural durante» e comodato «atipico», in Giur. It., 2008, 11, 2455 e MONTELEONE, Comodato immobiliare, clausola di restituzione in caso di necessità e atipicità del contratto, in Obbl. e Contr., 2009, 3, 229) la giurisprudenza ha affermato che, accanto ai due modelli tipici di comodato, sia configurabile una terza tipologia c.d. atipica, attraverso la quale il prestito d’uso può atteggiarsi e può rendersi, in virtù degli interessi perseguiti, meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico in quanto esplicazione dell’autonomia negoziale che esso riconosce ai privati ai sensi dell’art. 1322 c.c.

Si connota come figura atipica (non riconducibile nè al modello legale del comodato a termine ex art. 1809 c.c. nè a quello del comodato senza limitazione di tempo ex. art. 1810 c.c.) il contratto di comodato immobiliare con il quale le parti abbiano previsto che la restituzione del bene da parte del comodatario debba avvenire nel “caso che il comodante ne abbia necessità“.

In tale ultima ipotesi, infatti, il comodato è da intendersi convenuto senza determinazione di tempo (salvo quello che ex lege può discendere dall’applicazione dell’art. 1811 c.c. e che un termine derivi in relazione all’uso pattuito), e tuttavia, ai sensi dell’art. 1322 c.c., con il patto che il potere di richiedere la restituzione (e dunque il recesso ad nutum) possa esercitarsi solo in presenza di una necessità di utilizzazione dell’immobile – nel senso di un bisogno di riavere la cosa per goderne in uno dei modi consentiti dal proprio titolo – che sia incompatibile con il protrarsi del godimento del comodatario e che deve essere prospettata nel negozio di recesso dal comodante e, in caso di contestazione, dimostrata.

Detto contratto, spiegano i Giudici, va inteso come privo dell’indicazione della durata (salva applicazione dell’art. 1811 c.c. o di un termine rinvenibile dall’uso pattuito) – essendo l’evento che può giustificare la richiesta di restituzione incerto nell’an – ma, al contempo, non liberamente recedibile ex art. 1810 c.c., per via di una determinazione esercitata liberamente dalle parti ai sensi dell’art. 1322 c.c.: è, infatti, richiesta una situazione di necessità che va dichiarata e, nel caso, provata dal comodante.

In tale approccio ricostruttivo, come rilevano i giudici nella sentenza in commento, l’attenzione non si focalizza sulla derogabilità del termine (limite non superabile per i motivi suesposti) e, dunque, non sul profilo temporale del rapporto, ma nel «rendere negoziabile il potere di restituzione», sottraendolo alla discrezionalità del comodante e prevedendo che sia esercitabile solo alle condizioni previste dalle parti: «una modulabilità», per via della «valorizzazione della volontà delle parti del potere di restituzione della cosa che il comodante di regola esercita liberamente».

E proprio tale modello schematico rende esattamente il comodato atipico poiché il prestito d’uso che vi è convenuto – non essendone commisurata la durata ad un termine prefissato (neppure in maniera implicita) e non potendo perciò integrare la figura del comodato disciplinata dall’art. 1809 c.c. – rifluisce naturalmente nell’alveo del comodato a cui si applica l’art. 1810 c.c., ma da esso si dissocia, in ciò manifestando la sua atipicità, poiché il potere di restituzione non è liberamente esercitabile dal comodante.

Applicando dette conclusioni al caso di specie, e dunque una volta ricondotto lo stesso alla fattispecie atipica suindicata (in quanto le parti avevano espressamente legato l’efficacia del rapporto contrattuale all’espletamento delle finalità culturali per cui il comodato era stato stipulato) la Corte di Cassazione afferma che i giudici dell’appello hanno errato nel non valutare se detta pattuizione (che vincolava la recedibilità ad nutum al venire meno dell’espletamento delle finalità culturali o dello scopo statutario) fosse meritevole di tutela ex art. 1322 c.c. e, dunque, richiedesse la verifica della prova dei detti presupposti.

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