7 Settembre 2015

Come te non c’è nessuno

di Michele D’Agnolo Scarica in PDF

A volte capita che negli studi professionali ci sia un’unica persona che sa fare determinate cose. Questo può accadere per motivi dimensionali, perché lo studio è talmente piccolo da non potersi permettere delle risorse aggiuntive. Oppure avviene perché semplicemente non abbiamo fatto caso a quali e quanti inconvenienti può ingenerare il fatto di affidare ad una sola persona compiti delicati, rendendola di fatto insostituibile.

Non è mai saggio che alcune competenze tecniche, commerciali, organizzative all’interno dello studio siano concentrate su un’unica persona. Questo dipendente o collaboratore o socio potrebbe avere un raffreddore, o volersene andare incolpevolmente o a volte anche intenzionalmente, lasciando lo studio nelle classiche braghe di tela.

Ho visto un brillante notaio anni fa, grande esperto di diritto commerciale, inseguire la sua impiegata prediletta, rara esperta nel confezionamento di impervi statuti e arditi atti societari, che voleva abbandonarlo stizzita per una semplice frase fuori luogo sfuggitagli in un momento di disattenzione, dover suonare numerose serenate sotto casa, a suon di euro di aumento, prima di riuscire a farla tornare all’ovile. E da quella volta indovinate chi comanda in quello studio?

E cosa accadrebbe se nei nostri studi se ne andasse l’unica persona che sa fare gli invii telematici, o le pratiche della Camera di Commercio. Tutto in tilt, con incremento dei tentati suicidi con conseguente rincaro delle polizze assicurative vita per i professionisti.

E’ dunque opportuno esaminare in maggiore dettaglio le competenze di cui parliamo. Alcune di queste professionalità sono sostituibili facilmente con apporti esterni, come il lavoro di agenzie di disbrigo pratiche per i depositi al Registro Imprese oppure si può fare affidamento sulla pietà di qualche collega meno affaccendato o meglio organizzato. Di questi soggetti è sempre bene tenere a mani il numero di telefono e mandargli gli auguri a Natale.

In altri casi esistono fortunatamente fior di manuali, corsi di formazione e convegni ai quali attingere. E in mancanza di fantasia, si può sempre gettare l’occhio su cosa si è fatto la volta prima.

Altre competenze invece sono rare, perché non esistono corsi o pubblicazioni che te le insegnino. Sono istruzioni preziose che i dipendenti e collaboratori degli studi si trasmettono oralmente, come gli sciamani. E’ così per esempio per la compilazione dei libri societari negli studi commerciali o per la confezione dell’adempimento unico negli studi notarili. E se non abbiamo la ricetta della Coca Cola, non riusciremo a digerire un bel nulla. 

Un primo lavoro da fare è dunque quello di mappare le competenze. Chi sa fare cosa. Poi con la diligenza del buon padre di famiglia prendere nota di quelle che sono diffuse e di quelle che invece sono rarefatte come l’interno del frigorifero alla domenica sera.  

Poi occorre trovare un modo per distillare le competenze rare. Le abilità in questione sono infatti patrimonio dello studio e non del singolo che le possiede. Un sistema è quello della mappatura dei processi attraverso interviste ai nostri tecnici. Ci diranno che le eccezioni superano le regole, che non si possono ridurre anni di esperienza in poche paginette, ma non perdiamoci d’animo e non prendiamoli troppo sul serio.

Un altro modo per entrare in possesso delle competenze rare è quello di mappare i risultati. Se nessuno in studio sa più come si fa il repertorio degli atti, il notaio potrà consultare i volumi precedenti e desumere dalla pratica la teoria. Faticoso ma meglio che farsi trovare impreparati.

Altro sistema è quello di pagare un esperto esterno allo studio che ti insegni come si fa. Può essere un ex dipendente o un ex funzionario degli uffici, un consulente tecnico o informatico e così via.

Sarà invece molto difficile invece affiancare efficacemente un apprendista stregone alla persona che possiede una competenza rara, cioè ottenere che vi sia un trasferimento effettivo di conoscenza. Guarda caso, ci sarà sempre un motivo valido per cui ora l’uno ora l’altro non avranno avuto tempo, possibilità di lavorare in affiancamento. E al momento opportuno state certi che la persona che doveva imparare dirà che siccome non lo ha fatto ogni giorno ma una tantum, tutto ciò che aveva appreso se l’è già dimenticato.

Salvo lamentarsi, quando disturbi a casa al cellulare so-tutto-io perché sei nel guano fino al colletto.

Un’altra modalità di uscire dalla spirale delle competenze rare è quella che prevede che il datore di lavoro deve saper fare tutto prima di sovrintendere il lavoro degli altri. Mi sembra una cosa eccessiva, a meno che non si provenga da una esperienza da solista, nel qual caso è giustificabile che l’accumulo di conoscenza sia avvenuto. Ma se lo studio ha un minimo di complessità e struttura la cosa diventa impossibile fisicamente e del tutto antieconomica. Immaginatevi se Sergio Marchionne sa cambiare le spazzole dei tergicristalli ad una Punto…

Qualche altra precauzione si può prendere. Un buon gestore di studio professionale dovrebbe essere come Noè e mettere sulla propria Arca, grande o piccola che sia due di tutto. non si sa mai. Melius abundare quam deficere. Poi anche ferie e permessi andranno concessi tenendo conto di mantenere sempre un adeguato presidio all’interno dello studio.

Alla fine dovrebbe passare il principio che tutti sono utili ma nessuno deve diventare indispensabile, pena per i titolari la perdita dell’indipendenza.

Ho visto studi dove le impiegate, per il potere che avevano assunto grazie al trattenimento della conoscenza, si permettevano di rimproverare apertamente il proprio titolare davanti ai clienti, per essere arrivato tardi ad un appuntamento…

Alle volte è il professionista che loda e sbroda la persona con competenze rare, mettendole ancora di più su di un piedestallo invece che badare a difendersene: “se non ci fosse Mario come faremmo a tenere in ordine i libri societari…”. E chi partorisce i propri mostri, è giusto che se li goda.