16 Gennaio 2018

Il codice del terzo settore e le sportive dilettantistiche

di Guido Martinelli Scarica in PDF

Se le sportive non appaiono ricomprese tra i soggetti del terzo settore indicati dal D.Lgs. 117/2017, la disciplina dell’indicato codice del terzo settore ha, comunque, una serie di conseguenze che possono coinvolgere le associazioni e società sportive dilettantistiche pur se queste abbiano evitato con cura di iscriversi nel nuovo Registro unico del terzo settore.

In particolare ci riferiamo all’articolo 148 Tuir la cui nuova formulazione (che, si ricorda, entrerà in vigore solo dal primo periodo di imposta successivo alla pervenuta autorizzazione dalla UE e all’entrata in vigore del RUTS) elimina dall’elenco degli enti associativi beneficiari della norma i sodalizi culturali, assistenziali, di promozione sociale e di formazione extrascolastica della persona.

Si ricorda che la disciplina in esame consente la decommercializzazione dei corrispettivi specifici versati da associati e tesserati a fronte di servizi erogati in conformità alle finalità istituzionali da parte degli enti ricompresi nella norma.

Cosa accade oggi. Le associazioni sportive, solitamente, hanno un oggetto sociale non limitato solo allo sport ma che ricomprende anche attività ricreative, culturali, di promozione sociale effettuate nei confronti dei propri associati.

Pertanto, ad esempio, il circolo tennis che avesse uno statuto con oggetto sociale ampio che organizzasse, per i propri associati, un ciclo di conferenze o un corso di cucina a pagamento, potrebbe godere della defiscalizzazione ai fini delle imposte sui redditi dei corrispettivi specifici versati dai propri associati in quanto l’attività rimane “conforme alle finalità istituzionali”.

Cosa potrebbe accadere domani con riferimento alle attività culturali poste in essere da una sportiva, pur se previste dal proprio oggetto sociale. Se si considerasse l’organizzatore solo una sportiva, ne deriverebbe che l’attività culturale non sarebbe conforme alle finalità istituzionali e quindi di natura imponibile, se si considerasse anche come associazione culturale non potrebbe più aprirsi la deroga del terzo comma dell’articolo 148 Tuir che, per l’appunto, prevede la decommercializzazione. Ne conseguirebbe l’applicazione del secondo comma del citato articolo e, di conseguenza, la natura di corrispettivo specifico “commerciale” della somma pagata dall’associato.

Ma, in realtà, la situazione è ancora più complessa (o se preferite “farsesca”). Il legislatore, infatti, non ha previsto di modificare l’articolo 4 del D.P.R. 633/1972 che costituisce l’omologo, ai fini Iva, di quello che l’articolo 148 Tuir è ai fini dei redditi.

Pertanto, quando la riforma sarà a regime, l’eventuale “corso di cucina” organizzato da una sportiva in favore dei propri associati sarà provento commerciale ai fini reddituali ma “potenzialmente” (in attesa di eventuali chiarimenti dell’Agenzia delle entrate sul punto) da ritenersi “istituzionale” ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.   

Ci si pone ora il problema degli aspetti fiscali connessi alla gestione del posto di ristoro, disciplinato sotto il profilo delle agevolazioni fiscali dal comma 5 dell’articolo 148 Tuir.

Va precisato che le sportive che aderiscano ad un ente le cui finalità sociali siano riconosciute dal Ministero dell’Interno ai sensi e per gli effetti della L. 287/1991 continueranno a godere del percorso facilitato (SCIA) ai fini autorizzativi da parte della Amministrazione Comunale competente ma non potranno più godere della defiscalizzazione dei corrispettivi specifici. Questo in quanto la gestione di un posto di ristoro non potrà rientrare tra le attività per le quali la sportiva rimarrà abilitata ad applicare l’articolo 148 Tuir.

Il comma 8 di tale norma da ultimo citata contiene i precetti che gli enti associativi debbono statutariamente rispettare per poter applicare le agevolazioni previste dai commi precedenti. Tra queste è previsto l’obbligo, in caso di devoluzione del patrimonio per scioglimento della associazione, di interpellare “l’organismo di controllo”, originariamente indicato nella Agenzia per le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, diventata poi Agenzia per il terzo settore e poi, a seguito della soppressione prevista dal comma 8 dell’articolo 23 del D.L. 16/2012 (convertito con modificazioni dalla L. 44/2012), confluita nel Ministero del Lavoro e delle politiche sociali.

La domanda che a questo punto ci si pone è se possa essere applicata alla sportiva che non sia anche ente del terzo settore la disciplina di cui al combinato disposto di cui agli articoli 9 e 91 CTS, laddove viene prevista la nullità della devoluzione del patrimonio in assenza di parere da parte del Registro unico nazionale del terzo settore attivato presso il Ministero del Lavoro e una sanzione pecuniaria a carico degli amministratori responsabili. Si ritiene di poter dare parere negativo sulla base del principio generale della tassatività delle sanzioni. Ma, ci saranno, quindi, due percorsi al Ministero, l’uno per i pareri ex articolo 148 Tuir e l’altro per quelli richiesti dagli enti del terzo settore? Onestamente lo dubitiamo ma un chiarimento, viste le conseguenze, sarebbe auspicabile.