20 Marzo 2018

Brevi note in tema di interesse a impugnare e soccombenza

di Ginevra Ammassari Scarica in PDF

Cass., sez. lav., 11 dicembre 2017, n. 29578

Impugnazioni civili Appello SoccombenzaInteresse ad impugnare Sussistenza (Cod. proc. civ., artt. 100, 323).

[1] Ai fini della sussistenza dell’interesse ad impugnare una sentenza rileva una nozione sostanziale e materiale di soccombenza, che faccia riferimento non già alla divergenza tra le conclusioni rassegnate dalla parte e la pronuncia, ma agli effetti pregiudizievoli che dalla medesima derivino nei confronti della parte.

CASO

[1] In parziale accoglimento delle domande proposte da un dipendente dell’Azienda Regionale Edilizia Residenziale per la Valle d’Aosta, il Tribunale di Aosta, in funzione di giudice del lavoro, riconosceva il superiore inquadramento del ricorrente nel terzo livello dirigenziale del CCNL di settore, in luogo della categoria D formalmente riconosciutagli.

Investita del gravame del datore di lavoro, la Corte d’Appello di Torino rilevava l’insussistenza del relativo interesse ad impugnare, stante la conformità della pronuncia resa dal Tribunale alle conclusioni rassegnate dall’azienda regionale nel precedente grado di giudizio.

In particolare, la Corte territoriale osservava come l’appellante avesse mutato non soltanto l’oggetto del petitum originario, ma anche la causa petendi, giacché solo in sede di gravame aveva eccepito, per la prima volta, la nullità del verbale di conciliazione sottoscritto con il dipendente, così contravvenendo al divieto di ius novorum ex artt. 345 e 437 c.p.c.

Pertanto, dichiarava inammissibile l’appello proposto dal datore di lavoro.

Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’azienda regionale, articolando molteplici motivi di censura.

SOLUZIONE

[1] La sezione lavoro della Corte di cassazione cassa con rinvio la decisione resa dalla Corte territoriale e afferma che, ai fini della sussistenza dell’interesse ad impugnare, occorre avere riguardo, non già alla divergenza tra le conclusioni rassegnate dalla parte e la pronuncia impugnata, quanto agli effetti pregiudizievoli derivanti dal potenziale passaggio in giudicato di quest’ultima.

Infine, quanto all’inammissibilità dell’eccezione di nullità contrattuale sollevata dall’azienda solo con il ricorso in appello, la Corte, nel conformarsi a quanto statuito da Cass., S.U., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243 (in Foro it., 2015, I, 862, con note di Pardolesi, Palmieri, Proto pisani, Adorno, Di Ciommo, Pagliantini, Menchini) ritiene che il potere di rilevare ex officio l’invalidità del contratto dedotto in giudizio spetta, in ogni caso, al giudice del gravame, qualora tale rilievo sia stato omesso nei precedenti gradi di merito.

QUESTIONI

[1] Con la pronuncia in epigrafe, la Suprema Corte si conforma al costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità e accoglie una nozione di soccombenza sostanziale che, intesa quale pregiudizio scaturente dalla decisione nei confronti della parte, comporta la sussistenza del relativo interesse ad impugnare quale speculare vantaggio conseguibile con la riforma della sentenza (cfr. Cass., 12 aprile 2013, n. 8934, in Foro it., Rep. 2013, voce Impugnazioni civili, n. 25; 4 maggio 2012, n. 6770, id., Rep. 2012, voce cit., n. 26; 7 maggio 2009, n. 10486, id., Rep. 2009, voce cit., n. 27).

Tale impostazione recepisce gli approdi dottrinali elaborati sulla scorta della categoria dommatica della materielle Beschwer di matrice tedesca e, nell’escludere che a fondamento del potere di impugnare figuri la sola difformità tra l’oggetto della tutela e il contenuto della sentenza, ammette una definizione di soccombenza che prescinde dal mero raffronto formale di tali elementi; in dottrina, ravvisano la soccombenza nella descritta ipotesi di divergenza tra chiesto e pronunciato, Attardi, Considerazioni in tema di interesse ad impugnare, in Scritti in onore di Fazzalari, Milano, 1993, 274; Liebman, «Parte» o «capo» di sentenza, in Riv. dir. proc., 1964, 57.

Al contrario, declinata sotto il profilo sostanziale, la soccombenza non assurge a requisito autonomo, ma è posta necessariamente in correlazione con le altre condizioni del potere di impugnare: in particolare, mentre per alcuni risiede a fondamento della stessa legittimazione (v. Lancellotti, Premesse alla definizione della soccombenza come requisito di legittimazione alle impugnative di parte, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1978, 1554; Attardi, L’interesse ad agire, Padova, 1958, 292), l’impostazione tradizionale ritiene che tale requisito coincida o, comunque, venga assorbito nell’interesse ad impugnare (in tal senso, v. Grasso, Le impugnazioni incidentali, Milano, 1973, 51; Redenti, Diritto processuale civile, Milano, 1953, 318).

Se la giurisprudenza tende a sovrapporre la nozione di soccombenza, seppur sostanziale, con quella di interesse ad impugnare (cfr. Cass. 10 novembre 2011, n. 23471, Foro it., Rep. 2011, voce Esecuzione in genere, n. 67; 30 giugno 2006, n. 14031, id., Rep. 2006, voce Impugnazioni civili, n. 34), al contrario, in dottrina, sostengono una dissociazione tra tali elementi, che conservano una propria autonomia, Sassani, voce Interesse ad agire, in Enc. giur., Roma 1989, XVII, 2 e Salvaneschi, L’interesse ad impugnare, Milano, 1990, passim, secondo la quale, accanto alla soccombenza, tra i presupposti indefettibili della facoltà impugnatoria, figura l’interesse ad impugnare.

In particolare, l’A., in primo luogo, distingue l’interesse ad impugnare dall’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c., giacché privo di una connotazione sostanziale (Salvaneschi, op. ult. cit., 9; in giurisprudenza, sul punto, si segnala Cass. 18 ottobre 2001, n. 12700, Foro it., Rep. 2001, voce cit., n. 26, la quale ritiene che l’interesse ad agire si atteggi diversamente nel giudizio di gravame, dovendosi necessariamente confrontare con la pronuncia di primo grado e la sua idoneità al giudicato; contra, Cass. 11 novembre 2014, n. 5581, id., Rep. 2014, voce cit., n. 11; 5 maggio 2010, n. 10909, id., Rep. 2010, voce cit., n. 67, le quali ritiengono l’interesse all’impugnazione quale manifestazione del generale interesse ad agire).

Secondariamente, Salvaneschi, op. ult. cit., 404, predilige il profilo teleologico dell’interesse ad impugnare, che si traduce «nel vantaggio marginale che l’impugnante può acquisire attraverso l’esperimento del mezzo di gravame» (in tal senso, v. Cass. 11 novembre 2014, n. 5581, cit.; 27 gennaio 2012, n. 1236, id., Rep. 2012, voce cit., n. 29).

Pertanto, il giudizio di ammissibilità dell’impugnazione non si esaurisce nella verifica della sola soccombenza – ovvero del pregiudizio scaturente dalla sentenza impugnata – ma, in ossequio al principio di economia processuale, necessita di un vaglio ulteriore, da espletarsi attraverso l’esame dei motivi di censura articolati dalla parte e dall’utilità conseguibile in concreto con l’accoglimento dell’impugnazione.

In giurisprudenza, conforme a tale impostazione:

  • 25 giugno 2010, n. 15353, id., Rep. 2010, voce cit., n. 13, la quale esclude che l’interesse ad impugnare possa esaurirsi nell’astratto interesse ad una più corretta soluzione della controversia, priva di risvolti concreti sulla decisione impugnata;
  • 4 giugno 2007, n. 12952, id., Rep. 2007, voce cit., n. 35, la quale ritiene inammissibile l’impugnazione volta in via esclusiva alla modifica della motivazione e, quindi, a soddisfare esigenze di correttezza teorico-formale;
  • , sez. un., 3 novembre 2005, n. 21289, Foro it., 2006, I, 2377, secondo cui la soccombenza non sussiste qualora l’absolutio ab instantia derivi da una statuizione di natura processuale, giacché il relativo interesse ad impugnare, in tale ipotesi, si manifesta esclusivamente in presenza di rituale proposizione di domanda riconvenzionale volta all’esame del merito della controversia.

A prescindere delle categorie dogmatiche adottate, la sentenza in epigrafe sembra accogliere tale prospettiva, ribadendo altresì che, ai fini del giudizio di ammissibilità dell’impugnazione, non rileva la divergenza tra il contenuto della sentenza e le conclusioni rassegnate dall’appellante nel precedente grado di giudizio.

Tale impostazione, in passato, ha trovato prioritaria applicazione con riguardo alle controversie in materia di diritti indisponibili ove, ai fini dell’esercizio della potestà impugnatoria, si riteneva irrilevante l’eventuale adesione del convenuto alle domande (e quindi, alle conclusioni) attoree, stante il difetto del relativo potere di disposizione del diritto controverso; così, Cass. 28 settembre 1998, n. 9684, id., Rep. 1999, voce cit., n. 21, che è espressione di quell’orientamento giurisprudenziale che definisce il requisito di indisponibilità del diritto in base all’inderogabilità delle norme (in materia previdenziale) poste a presidio di quest’ultimo; contra, in giurisprudenza, Cass., 10 marzo 1981, n. 1337, id., Rep. 1981, voce cit., n. 29 e, in dottrina, v. Luiso, Questioni varie in tema di provvedimento di separazione e divorzio, Giusto processo civ., 2008, 623, il quale rileva che le conclusioni rassegnate dalla parte in giudizio non equivalgono a un atto di disposizione del diritto.

In dottrina, sulla natura e sugli effetti del riconoscimento della domanda ad opera della controparte, v. Salvaneschi, op. ult. cit., 199; Proto Pisani, Osservazioni sul riconoscimento della domanda: opportunità di riaprire un dibattito prematuramente interrotto, in Foro it., 1978, I, 1927; in giurisprudenza, sul tema cfr., anche, Cass. 18 marzo 1999, n. 2494, Giur. it., 2000, 1407; Cass., sez. un., 8 marzo 1986, Foro it., 1987, I, 1240, con nota di Orsenigo (cui si rinvia per ulteriori riferimenti giurisprudenziali e bibliografici) e Giur. it., 1987, I, 1, 2074, con nota di Attardi, la quale subordina l’ammissibilità dell’impugnazione alla deduzione, in sede di gravame, di un profilo giuridico nuovo, non trattato nella precedente fase del giudizio conclusosi con la declaratoria di cessazione della materia del contendere.