28 Settembre 2015

Azioni di accertamento negativo: la ripartizione degli oneri probatori

di Francesca Bossi Scarica in PDF

La questione della ripartizione dell’onus probandi nelle azioni di accertamento negativo costituisce da sempre uno dei principali problemi su cui si sono confrontati gli studiosi di questo istituto. Da un lato vi è chi ha ritenuto che l’attore in accertamento negativo sia gravato dell’onere di provare l’esistenza dei fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto dedotto in giudizio o l’inesistenza dei fatti costitutivi dello stesso, in virtù del noto brocardo “semper necessitas probandi incumbit illi qui agit”. Dall’altro lato, invece, è stato sostenuto che in capo all’attore incombe solo l’onere della prova dei fatti impeditivi, modificativi o estintivi, gravando sul convenuto la prova dei fatti costituitivi, in quanto “ei incumbit probatio qui dicit, non qui negat”.

Nel caso di azione di accertamento negativo, la dottrina tradizionale ha ritenuto che l’attore sia onerato non solo della prova dei fatti impeditivi, estintivi e modificativi del diritto dedotto in giudizio (analogamente a quanto avviene nel processo a parti invertite), ma anche della prova dell’inesistenza dei fatti costitutivi del medesimo diritto: v. spec. Mortara, Commentario del Codice e delle Leggi di Procedura Civile, II, Milano, 1923, 603; Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, II ed., vol. I, Napoli, 1936, 205 ss., il quale giustifica il rigore istruttorio riservato all’attore in accertamento negativo come contrappeso alla generale ammissibilità delle azioni in discorso, e ciò al fine di evitare la reintroduzione dei c.d. giudizi di mera iattanza. In tema v. anche Merlin, Azione di accertamento negativo di crediti e oggetto del giudizio (casi e prospettive), in Riv. dir. proc., 1997, 1106 ss. In giurisprudenza v., ex multis, Cass., 15.2.2007, n. 3374, in Giust. civ. Mass. 2007, 2; Id., 11.1.2007, n. 384, in Giust. civ. Mass. 2007, 1; Id., 30.1.2006, n. 2032, in DeJure; Id., 16.6.2005, n. 12963, in Giust. civ. 2006, 2, I, 365; Id., 13.12.2004 n. 23229, in Giust. civ. Mass. 2005, 1. Da ultimo, in un caso di contestazione del testamento olografo, è stato affermato che l’onere della prova della falsità del testamento incombe sull’attore in accertamento negativo: Cass., sez. un., 15.6.2015, n. 12307, in Euroconference LEGAL, con nota di Russo; su cui v. anche Sesta, Questioni sulla prova della falsità del testamento olografo, in Cont. e impr., 2014, 1, 69 ss.).

Questa tesi, che valorizza il ruolo processuale assunto dalle parti nella controversia, è stata oggetto di critiche, in quanto grava l’attore dell’onere della prova di tutti i fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio, finendo così con l’ignorare le difficoltà nelle quali incorre colui che agisce nel dover allegare e provare l’inesistenza di tutte le fattispecie astrattamente idonee ad assumere rilevanza costitutiva del diritto oggetto dell’altrui vanto, in spregio alla regola – non codificata – secondo cui la dimostrazione di un fatto giuridico dovrebbe incombere su chi sia nelle migliori condizioni di fornirla (sul punto v. Romano, L’azione di accertamento negativo, Napoli, 2006, 418, il quale parla di prova diabolica soprattutto nell’ipotesi in cui la controversia abbia ad oggetto l’accertamento negativo di diritti cd. autoindividuati).

In linea con queste critiche, un opposto orientamento privilegia il ruolo sostanziale delle parti oltre alla lettera dell’art. 2697 c.c., che pone l’onere della prova dei fatti costitutivi del diritto in capo non già a chi agisce in giudizio, bensì a colui che “fa valere” quel diritto. In tal senso v., oltre a Romano, L’azione di accertamento negativo, cit., 416 ss., Cariglia, La ripartizione dell’onere della prova nella azioni di accertamento negativo, in Il giusto proc. civ., 2010, 701 ss.; e già Micheli, L’onere della prova, Padova, 1942, 387 ss. In giurisprudenza v. ex multis Cass., 12.12.2014, n. 26158, in Giust. civ. Mass. 2014; Id., 31.10.2013, n. 24568, in DeJure; Id., 4.10.2012, n. 16917; Id., 10.11.2010, n. 22862, in Giust. civ. Mass. 2012, 10, 1182; Id., 18.5.2010, n. 12108, in Giust. civ. Mass. 2010, 5, 774; Id., 17.7.2008, n. 19762, in Lavoro nella giur., 2008, 1277. La soluzione da ultimo esaminata è stata seguita dalla giurisprudenza domestica in tema di azione negatoria ex art. 949 c.c.: v. per tutte Cass., 28.11.1991, n. 12762, in Giur. it., 1993, I, 1, 452.

Tuttavia, anche con riferimento a tale ultima tesi sono state manifestate perplessità in quanto imprimerebbe all’azione di accertamento negativo la struttura di una provocatio ad agendum o ad probandum, con conseguente possibile violazione del principio dispositivo, del diritto di difesa e del principio della parità delle armi.

Ciò ha indotto parte della dottrina a sostenere una posizione intermedia, secondo cui l’attore in accertamento negativo sarebbe assoggettato ad un onere della prova “limitato”, che non riguarda tutti i fatti costituitivi del diritto dedotto in giudizio, ma solo quelli specifici posti a fondamento del vanto o della contestazione stragiudiziale da parte del convenuto (Proto Pisani, Appunti sulla tutela di mero accertamento, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1979, 110, 662; Merlin, Azione di accertamento negativo di crediti e oggetto del giudizio (casi e prospettive), in Riv. dir. proc., 1997, 1106 ss.). In effetti è indubbio il rischio che, aderendo a questa soluzione senza correttivi, si accordi un notevole favor all’attore in accertamento negativo, che potrebbe vedersi accogliere la domanda anche laddove non abbia provato alcunché, qualora il convenuto non abbia fornito la prova dell’esistenza dei fatti costitutivi del diritto (v. Cariglia, Profili generali delle azioni di accertamento negativo, Torino, 2013, 128, che peraltro mostra di aderire alla tesi in discorso). Per una replica v. peraltro Romano, L’azione di accertamento negativo, cit., 419 ss., secondo cui l’inconveniente segnalato è superabile con la verifica rigorosa dell’interesse ad agire, la cui dimostrazione – questa sì – spetta sempre a chi agisce in giudizio.

Dall’esame delle differenti ricostruzioni si ritiene che un dato emerga con chiarezza: l’impossibilità di giungere ad elaborare una teoria capace di tutelare tutti gli interessi processuali, in quanto ciascuna soluzione, nell’intento di assicurare i valori in gioco, finisce inesorabilmente per limitarne altri. Se infatti la tesi “processuale” determina un sacrificio istruttorio ingiustificato a carico dell’attore a favore del diritto di difesa del convenuto, la tesi “sostanziale”, invece, privilegia il diritto d’azione a scapito del diritto di difesa del convenuto.